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Una testimonianza ecumenica: i Patriarchi e i capi delle Chiese in Gerusalemme

di Riccardo Burigana

Spesso, soprattutto al ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, si ha l’impressione che il cammino ecumenico, che ha donato ai cristiani tanti e tanti frutti, talvolta non sempre tutti conosciuti e condivisi, faccia fatica a affermarsi là dove Gesù ha vissuto e l’esperienza cristiana è nata. Questa impressione, spesso avvalorata da incontri personali in alcuni luoghi di culto, viene rafforzata dalle immagini di scontri tra cristiani che certi media e social fanno rimbalzare in tutto il mondo per alimentare l’idea che i cristiani non riescano a superare il tempo delle contrapposizioni e delle divisioni.

Queste impressioni non tengono conto delle tante e tante esperienze quotidiane di dialogo e di condivisione, che vedono i cristiani protagonisti, anche in Terra Santa, dove spesso si va oltre la prospettiva del cammino ecumenico, tanto da far assumere al dialogo tra cristiani una dimensione interreligiosa, creando ponti tra cristiani, ebrei e musulmani. Tra le esperienze ecumeniche, che si sono venute moltiplicando negli ultimi anni, di fronte alla radicalizzazione dello scontro politico, una ha assunto un valore profetico di grande rilievo non solo per la regione: il Consiglio dei Patriarchi e i capi delle Chiese in Gerusalemme.

Il Consiglio ha una storia di qualche decennio alle spalle, dal momento che le prime esperienze in tal senso, dopo che per secoli si erano avuti incontri a livello personale, in un contesto che alimentava distinzioni ufficiali, soprattutto nel corso del XX secolo, risale alla meta degli anni Novanta, quando nel clima dell’approssimarsi al Grande Giubileo per la Chiesa Cattolica e il sempre vivo interesse per la ricerca di una pace nella regione si cominciò una prassi di incontri regolari, ancora in forma non del tutto ufficiale, dei responsabile delle diverse comunità cristiane presenti in Terra Santa. Nel corso degli anni, soprattutto nell’ultimo decennio, per una molteplicità di ragioni, tra le quali la nuova stagione del dialogo ecumenico a livello universale che si è aperta con l’elezione di papa Francesco, si sono venuti moltiplicando gli interventi condivisi dei Patriarchi e Capi delle Chiese cristiane in Terra Santa, diventati un attore delle dinamiche politico-religiose della regione. Accanto ai messaggi sottoscritti in occasione di alcuni momenti liturgici, come il Natale e la Pasqua, nei quali l’invito alla preghiera, pur nei diversi luoghi di culto, voleva essere un segno tangibile della volontà di rafforzare il cammino ecumenico, mostrando la strada per vivere l’unità nella diversità, sostenuta dalla condivisione delle gioie e delle speranze dei cristiani in Terra Santa, non sono mancati gli appelli per un impegno concreto e quotidiano per mettere fine alla  guerra in modo da poter realmente promuovere un percorso di pacificazione e di pace che non consentisse solo ai cristiani di rimanere nella Terra Santa, ma che aiutasse uomini e donne a scoprire la possibilità di vivere insieme nell’armonia delle religioni.  

Diverse volte il  Consiglio, che raccoglie la quasi totalità delle Chiese cristiane in Terra Santa, dalla Chiesa Cattolica, alla Chiesa Luterana, alla Chiesa Ortodossa, nelle sue diverse articolazioni, alle Antiche Chiese Orientali, ha espresso la propria profonda preoccupazione per la politica di annessioni unilaterali annunciata dallo Stato di Israele, chiedendo un impegno di tutti, anche a livello internazionale, per far prevalere l’ascolto dell’altro come regola per uscire dal clima di violenza che, per i Patriarchi e i capi delle Chiese cristiane in Terra Santa, non porta a niente, se non a altra violenza. L’invito alla preghiera in Dio Onnipotente, rivolto ai tutti, per trovare la calma necessaria con la quale valutare la realtà della situazione, mettendo fine al gioco di scagliarsi accuse reciprocamente, imboccando la strada per garantire una pace giusta, di lungo periodo “in quella parte del mondo considerata Santa dalle tre fede abramitiche”.

Le parole e i gesti del Consiglio dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese cristiane della Terra Santa hanno alimentato una cultura del dialogo, anche attraverso dei passi impensabili, come la condivisione del progetto per un progressivo restauro della Basilica del Santo Sepolcro, nel rispetto della propria identità, mostrando come il cammino ecumenico non è il moltiplicare organismi e istituzioni, ma il trovare forme con le quali esprimere una comunione con la quale testimoniare insieme Cristo, Salvatore delle genti, così da essere sempre più efficace e credibile costruttore della pace che è dono di Dio per il mondo.

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