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Il Consiglio Ecumenico delle Chiese e la ricerca della pace

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«Preghiamo che tutti in Siria possano condividere la convinzione che le azioni militari non possano portare una pace giusta nel Paese. Solo un dialogo politico e sociale può contribuire all’elaborazione di principi per vivere insieme, in dignità e uguaglianza, nel rispetto dello Stato di diritto». Così, il 1° novembre 2019,  il pastore luterano Olav Fyske Tveit, allora segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, espresse la posizione del Consiglio Ecumenico sulla Siria. Lo fece in occasione di uno dei tanti tentativi per trovare una soluzione alla guerra civile in modo da riaffermare come il Consiglio ecumenico delle Chiese, che ha sede a Ginevra e si propone di favorire il cammino ecumenico fin dalla sua fondazione nel 1948 a Amsterdam, sosteneva materialmente e spiritualmente qualunque atto che potesse condurre alla fine della guerra. Si trattava di rilanciare una posizione che aveva guidato il Consiglio Ecumenico fin dai primi scontri in Siria, che dovevano poi degenerare in una guerra che ha ormai superato i dieci anni.

In questi terribili anni di guerra civile, il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha sempre mantenuto viva l’attenzione nei confronti della Siria e con i suoi numerosi interventi ha voluto ricordare e manifestare che il Consiglio era in prima fila nella ricerca di soluzioni per iniziare un percorso di pace, fondato sulla riconciliazione delle memorie, come primo passo per l’affermarsi della giustizia. Il Consiglio ha invitato tutti, non solo le Chiese che fanno parte dell’organismo ecumenico, a denunciare la violenza e a lavorare per la pace, lanciando numerosi appelli per iniziative in Siria e nel mondo. In queste iniziative, anche quando hanno assunto una dimensione non esclusivamente ecumenica, il Consiglio Ecumenico ha esortato i cristiani a operare, dopo aver pregato insieme, dal momento che proprio nella preghiera si poteva trovare la luce dell’amore misericordioso per vincere le tenebre del dolore e della morte.

Accanto a questo costante invito alla preghiera, come strada privilegiata per costruire una comunione in grado di favorire una azione sempre più efficace dei cristiani nella realizzazione della pace, il Consiglio si è adoperato con una serie di progetti con i quali cercare di allievare sofferenze e disagi di uomini e donne travolte dalla guerra. Questi progetti, come è stato ricordato il 21 aprile, nel corso di una conferenza in modalità webinar, sono stati pensati anche come occasioni per favorire una collaborazione interreligiosa che aiutasse a realizzare la pace. Naturalmente si tratta di una posizione assunta dal Consiglio Ecumenico delle Chiese che non riguarda solo la Siria, ma anche altri Paesi, come la Nigeria, l’Iraq, l’Autorità Palestinese, dove il Consiglio ha attivato dei progetti per combattere violenza e discriminazione in nome della pace. Per la Siria i progetti del Consiglio Ecumenico hanno assunto una valenza del tutto particolare proprio per la drammatica situazione che si è venuta a creare per la durata della guerra, che ha causato danni materiali e spirituali inimmaginabili. Tra i disastri denunciati dal Consiglio Ecumenico c’è la “violenza” sull’acqua, cioè l’uso dell’acqua come arma di guerra per un attacco diretto a uomini e donne, che sono privati dell’uso dell’acqua, quando questa non viene deliberatamente inquinata per impedire loro di avere una qualche possibilità di sopravvivere alla guerra. Nel denunciare questa “violenza” il Consiglio Ecumenico ha richiamato l’impegno dei cristiani nella salvaguardia del creato che rimane centrale nella costruzione di una società dove viene bandita la violenza, tanto più in un tempo di pandemia. Infatti, come anche di recente è stato detto, privare dell’acqua uomini e donne in Siria, durante la pandemia, moltiplica la possibilità della diffusione del contagio, aumentando il tasso di mortalità e contro questa “violenza” i cristiani devono alzare la voce, trovando delle forme con le quali in Siria, come in qualsiasi altro Paese, impedire lo sfruttamento delle risorse del creato per la guerra, cercando di coinvolgere anche le istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite.

Nell’anno in cui si ricorda il 90° anniversario della scomparsa del vescovo luterano svedese Nathan Söderblom (1866-1931), uno dei fondatori del movimento ecumenico contemporaneo, che ricevette il Premio Nobel per la pace proprio per il suo impegno nella mobilitazione delle Chiese per la pace, il Consiglio Ecumenico delle Chiese mostra la profonda fedeltà a un impegno quotidiano per la pace, come elemento fondamentale della testimonianza ecumenica, rinnovando per questo il proprio impegno per la vita di uomini e di donne in Siria, tanto più in un tempo nel quale la lotta alla pandemia sembra allargare differenze sociali, ponendo altri punti interrogativi sul futuro del Paese.

Riccardo Burigana

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