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San Giovanni Paolo II, uomo del dialogo per la pace

«Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete», disse Giovanni Paolo II, appena eletto la sera del 16 ottobre del 1978.

Il lungo pontificato (16 ottobre 1978 – 2 aprile 2005) di Giovanni Paolo II iniziò il 22 ottobre con la Messa in piazza San Pietro; per questo la sua festa liturgica ricorre proprio il 22. «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! – disse durante l’omelia – Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo».

Aprire le porte a Cristo, non avere paura, costruire la pace e il dialogo sono stati alcuni fra i temi portanti del suo pontificato. Tematiche queste che ritroviamo spesso nelle sue 14 Encicliche; nei discorsi pronunciati nei suoi 146 viaggi in Italia e nei 104 fatti nel mondo.

Al tema della pace legò quello del dialogo fra i cristiani, le religioni e tutti gli uomini e le donne di buona volontà. E non poteva essere diversamente da un vescovo che aveva preso parte attiva al Concilio Vaticano II, fin dalla sua preparazione.

È importante ricordare l’incontro di Assisi, dell’ottobre del 1986, voluto fortemente da papa Giovanni Paolo II con tutti i capi e responsabili delle religioni del mondo nella città di san Francesco. Un incontro di preghiera, di digiuno per costruire la pace e il dialogo, due temi sempre fortemente legati nel suo pontificato. «Le nostre tradizioni sono molte e varie, e riflettono il desiderio di uomini e donne lungo il corso dei secoli di entrare in relazione con l’Essere Assoluto.  … Ciascuna religione avrà il tempo e l’opportunità di esprimersi nel proprio rito tradizionale. Poi dal luogo delle nostre rispettive preghiere, andremo in silenzio verso la piazza inferiore di San Francesco. … Dopo aver così pregato separatamente, mediteremo in silenzio sulla nostra responsabilità di operare per la pace. Esprimeremo poi simbolicamente il nostro impegno per la pace», disse quel giorno ad Assisi.

Papa Giovanni Paolo II ha sempre considerato il dialogo fra le tre religioni abramitiche fondamentale per la costruzione della pace, non solo in Medio Oriente e fra i Paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo, ma come paradigma per un nuovo ordine mondiale. Il Medio Oriente era nel cuo cuore, basti ricordare il suo impegno per la liberazione dei palestinesi che si erano rifugiati nella Basilica della Natività a Betlemme, le sue tue telefonate con abuna Ibrahim Faltas durante i 39 giorni dell’assedio, la sua decisione che ogni giorno l’Osservatore Romano mettesse la notizia con foto in prima pagina.

In questi giorni drammatici vengono in mente i suoi tanti interventi a favore del dialogo fra lo Stato di Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese per la costruzione di una pace durevole, frutto del dialogo, di negoziati, per giungere ad avere due Stati per i due popoli, quello ebraico e quello palestinese.

«Signor Arafat, nel ringraziarla per la cordiale accoglienza che mi ha riservato a nome dell’Autorità e del Popolo palestinesi, esprimo tutta la mia felicità per essere oggi qui. Come posso non pregare affinché il dono divino della pace diventi sempre più una realtà per tutti coloro che vivono in questa terra, segnata in modo unico dagli interventi di Dio? Pace per il popolo palestinese! Pace per tutti i popoli della regione! Nessuno può ignorare quanto il popolo palestinese ha dovuto soffrire negli ultimi decenni. Il vostro tormento è dinanzi agli occhi del mondo. Ed è andato avanti troppo a lungo», disse appena giunto a Betlemme il 22 marzo del 2000.

Lo stesso concetto lo ripeté anche a Tel Aviv al presidente Weizman e al Primo Ministro Barak. «Prego affinché la mia visita contribuisca ad accrescere il dialogo interreligioso che porterà gli Ebrei, i Cristiani e i Musulmani a individuare nelle rispettive credenze e nella fraternità universale che unisce tutti i membri della famiglia umana, la motivazione e la perseveranza per operare a favore di quella pace e di quella giustizia che i popoli della Terra Santa non possiedono ancora e alle quali anelano tanto profondamente».

 Renato Burigana

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