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Hamas fa la guerra dell’Iran

Man mano che il catastrofico bilancio di vittime e distruzioni provocate dall’attacco di Hamas si aggrava, si capisce quanta ragione abbiano avuto le autorità di Israele nel parlare subito di «guerra». Ci sarà modo di capire come i preparativi di questa guerra siano potuti sfuggire alle spie e all’intelligence dello Stato ebraico e dell’Egitto, oltre che ai satelliti Usa. Conoscendo gli israeliani, le inchieste arriveranno e non guarderanno in faccia a nessuno. Forse nemmeno in quella di Itamar Ben Gvir, l’ultra nazionalista (eufemismo) ministro della Sicurezza nazionale, ossessionato dall’idea di proteggere gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, sua base elettorale, forse fino al punto da sguarnire il confine con Gaza.

Ma ciò che per noi conta, ora, è capire chi l’ha dichiarata e perché. Hamas, certo. Ma Mohammed Deif, il capo militare di Hamas, non è un novello Von Clausewitz. Il regista che ha fornito i mezzi, suggerito le tattiche, ispirato le strategie e, soprattutto, scelto il momento non è a Gaza. Anzi: si serve di Gaza per questa che è una guerra per procura.

Il primo indiziato è lIran. Sembrava ormai vicino un accordo per la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele, che avrebbe completato la mappa degli Accordi di Abramo a suo tempo escogitati dall’amministrazione Trump. Per arrivare alla firma, il mediatore Joe Biden preparava ampie concessioni al regno saudita: un impegno a difenderlo in caso di aggressione e collaborazione nel settore nucleare. Cosa questa che anche negli Usa fa rabbrividire: l’atomica nelle mani di Mohammed bin Salman spaventa poco meno di una, ipotetica, nelle mani degli ayatollah. Se l’accordo fosse andato in porto, con l’Arabia Saudita protetta dall’ombrello militare Usa e dotata di accesso al nucleare, l’Iran avrebbe perso la golden share per la pacificazione della regione (anche in Yemen e Libano) e il disgelo diplomatico coi sauditi, a sua volta mediato dalla Cina di Xi Jinping, sarebbe diventato carta straccia.

Fulvio Scaglione: è un giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 ha ricoperto la carica di vice-direttore del settimanale “Famiglia Cristiana”, e nel 2010 ha lanciato l’edizione online del giornale. Ha svolto il ruolo di corrispondente da Mosca, seguendo da vicino la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, oltre ad occuparsi degli avvenimenti in Afghanistan, Iraq e dei temi legati al Medio Oriente.

 

“Conversazioni” è la rubrica del magazine della Fondazione Giovanni Paolo II che raccoglie punti di vista su temi di attualità, società, economia e cultura. L’obiettivo è offrire uno spazio di dialogo aperto a tutti dove ognuno è libero di esprimere le proprie idee. Se vuoi contribuire al dibattito inviaci il tuo articolo alla mail comunicazione@fondazionegiovannipaolo.org

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