I beduini Jahalin
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I Beduini Jahalin
I beduini Jahalin all’inizio degli anni Cinquanta, in seguito alla nascita dello Stato di Israele, vennero cacciati dalla loro terra di origine (Tel Arad, nel deserto del Negev), verso la Cisgiordania e Gaza. In queste nuove terre i beduini Jahalin si sono adattati conservando però il loro tradizionale stile di vita mediante il pascolo del bestiame tra Ramallah e Gerusalemme.
Dopo l’occupazione della Cisgiordania da parte di Israele nel 1967, ecco che i beduini Jahalin si sono visti cacciare per la seconda volta. Israele dichiarò gran parte delle loro terre “zona militare” e molte ne confiscò adducendo “motivi di sicurezza”. Altre aree abitate dagli Jahalin furono dichiarate “riserva naturale” e vennero quindi inibite al pascolo. Ancora una volta i beduini Jahalin furono costretti a lasciare la loro terra, questa volta verso le colline del deserto di Giuda a est di Gerusalemme.
La loro Odissea non doveva però concludersi qui. Nel 1975 Israele espropriò i primi 3000 ettari di terra Jahalin per fare spazio al nuovo insediamento ebraico di Ma’ale Adumim (attualmente il terzo per grandezza in Cisgiordania). Come tutti gli insediamenti israeliani su terra palestinese, anche quello di Ma’ale Adumim è considerato dal diritto internazionale a tutti gli effetti “illegale” poiché sorge sulla terra di un altro popolo cacciato intenzionalmente con la violenza.
Dotato di infrastrutture all’avanguardia e di servizi pubblici efficienti, l’insediamento di Ma’ale Adumim si sviluppa sfruttando le risorse delle terre beduine. Negli anni successivi, altra terra è stata sottratta loro per costruire la zona industriale di Mishor Adumim e gli insediamenti di Kfar Adumin e Qedar.
Attualmente le comunità Jahalin vivono in accampamenti che ospitano dalle 100 alle 1000 persone, situate su spazi residuali stretti tra l’avanzare del muro israeliano, gli insediamenti, le infrastrutture militari e l’impetuoso sviluppo urbanistico che caratterizza l’area. Si tratta di terreni scadenti e degradati, che spesso ospitano le discariche a cielo aperto di Gerusalemme. Confinati in territori delimitati, con il divieto di spostarsi e di costruire, le tende hanno fatto posto a baracche di legno e lamiera.
Qualcuno si chiederà perché mai i beduini vivano in baracche di latta, inadeguate per i climi torridi della stagione estiva e per quelli rigidi della stagione invernale. La spiegazione è che Israele proibisce loro di realizzare abitazioni che comportino un qualche tipo di fondazione e vieta l’utilizzo dei materiali adatti a questo scopo come il cemento, il ferro, le pietre e i mattoni.
A queste proibizioni si aggiunge quella radicale di non costruire nulla che non sia autorizzato. E beninteso, nulla viene autorizzato. A fronte di queste disposizioni allucinanti non resta ai beduini che adattarsi in baracche che, in assenza di permessi specifici, vengono demolite dai bulldozer ma possono essere più facilmente ripristinate. La cosa vale anche per le scuole materne: nulla sfugge all’ordine di demolizione. Per quanto riguarda i servizi di base non ne esistono e gli indici sanitari e sociali risultano sensibilmente più bassi della già allarmante media palestinese.
#jahalinsolidarity
Alessandro Bartolini
Nato a Poppi, Arezzo, nel 1966, è ingegnere civile di professione e fotografo di passione. Nel 2005 organizza la sua mostra fotografica d’esordio incentrata sulla realtà dei cittadini palestinesi. Viaggiatore e ingegnere, Alessandro ha saputo coniugare con creatività la sua formazione tecnica con la passione per la fotografia.